È di pochi giorni fa la notizia di una direttiva comunitaria che accoglie la richiesta di alcuni produttori di poter usare, in deroga agli obblighi fino ad allora esistenti, tappi alternativi a quelli di sughero naturale per la tappatura dei loro vini Dop e Igt- meglio Doc e DOCG – al fine di soddisfare la richiesta sempre più pressante di alcuni mercati grandi clienti – in primis quello statunitense.
La direttiva non specifica il tipo di tappo ma lascia a Consorzi e produttori liberi nella scelta.
E questa delibera ha buttato benzina sul fuoco della querelle tappi, legata sia a questioni ‘chimiche’ che a questioni culturali.
Non è questa la sede per dibattere su pro e contro della scelta di un tappo alternativo; è facile reperire materiali informativi in rete.
Rimane il fatto che per noi europei il sughero non è solo un metodo di tappatura ma è parte della storia secolare del vino stesso; bere vino era, ed è, prima di tutto un atto di cultura. Agricoltura e cultura condivisa, sociale.
L’apertura di una bottiglia di vino è un rituale e non solo l’atto per poter bere un liquido.
Inimmaginabile, per noi, un Barolo o un Amarone o un grande Bordolese con un tappo a vite…
Quasi un tabù, che continua a vivere nonostante la nuova generazione di tappi a vite o anche le chiusure in ceramica o in vetro non ha nulla a che vedere con i vecchi sistemi in latta o in plastica utilizzati in passato e che erano sinonimo di vini di scarsa qualità.
Ma la direttiva è la risposta ad una richiesta che viene dai mercati internazionali, dai quali deriva oltre il 50% del fatturato del vino made in Italy. Una richiesta che non si può ignorare se vogliamo continuare a vendere.