A Vinitaly, durante il convegno “Vino e dazi” (organizzato al Vinitaly dall’Alleanza delle Cooperative italiane) sono stati presentati i dati sui costi d’ingresso in altri mercati.
Nel 2012 il vino italiano ha pagato alle frontiere dei principali paesi dazi per 269 milioni su circa 2,22 miliardi di export (il 12% medio).
Un bel fardello per l’Italia che è il secondo esportatore mondiale di vino: 4,6 miliardi l’anno scorso (la Francia 7,8 miliardi) ma solo il 4,7% finisce sulle tavole di Asia e Australia e l’1,3% in Sud America. Poi la metà si ferma nella Ue e il 33% varca l’oceano per il Nord America.
L’ammontare complessivo dei dazi oggi in vigore sui vini italiani nei maggiori Paesi importatori ha raggiunto ormai una cifra considerevole, pari al 12% del valore globale dell’esportato.
E così mentre mercati ormai storici per l’Italia e non solo, come ad esempio, gli Stati Uniti (dove si registra un dazio unitario medio dell’1,5%), il Canada (0,3%), la Svizzera (9%) o l’Australia, sono praticamente liberalizzati, in quelli di “recente conquista” ci si deve scontrare contro insopportabili balzelli.
Stando ai dati discussi durante il convegno ad essere proibitivi sono soprattutto i costi d’ingresso in quei mercati che hanno un consumo procapite in continua crescita, su tutti quelli asiatico, est europeo e sud americano: se in Paesi come Stati Uniti, Canada, Svizzera o Australia il mercato del vino è infatti sostanzialmente liberalizzato, in India (dazi pari al 150% del valore del vino), dal 15% della Cina (15%), Russia (20%), Giappone (21%), Thailandia (59,2%), Malesia (30,7%), Brasile (26,1%) o Ucraina (23%) le imposizioni doganali sono invece ancora molto alte.
«Per ridurre tali gap competitivi, l’ Unità Analisi della politica commerciale agricola della Commissione Europea sta lavorando per realizzare accordi di libero scambio per la riduzione dei dazi con le cosiddette nuove economie; sta inoltre promuovendo accordi commerciali con Paesi sviluppati finalizzati al riconoscimento di norme tecniche e pratiche enologiche, alla protezione delle indicazioni geografiche e alla stesura di specifici accordi per il settore.
In questa ottica il problema dovrebbe essere affrontato anche in sede di riforma della Politica Agricola Comune, garantendo una maggiore tutela dei prodotti di qualità, una difesa dei marchi e una omogeneizzazione dei controlli.
Ma nonostante dazi e brutte imitazioni, nel 2012, la sola regione di Hong Kong ha importato dal nostro Paese oltre 3,3 milioni di litri di vino (+11% rispetto al 2011), mentre in Cina il nostro export ammonta a 32,6 milioni (+6%).
La geografia dei consumi mondiali del vino italiano sta cambiando ed è necessario che anche le strategie di comunicazione e vendita delle aziende si adattino al nuovo scenario. Si rendono indispensabili ad esempio azioni di informazione e promozione che siano in grado di giungere ai nuovi consumatori, così diversi da noi come stili di vita e modalità di consumo.