In Italia continua il boom dei microbirrifici artigianali che dieci anni fa erano poco più di una trentina e ora sono circa un migliaio, per una produzione stimata in 45 milioni di litri, in parte bevuti all’estero, anche in Paesi tradizionalmente produttori come la Gran Bretagna o la Germania.
Nel 2015 le esportazioni di birra italiana all’estero sono aumentate del 27% in quantità, con quasi la metà della spedizioni dirette nel Regno Unito, dove nei pub si diffonde la presenza delle produzioni artigianali nostrane. Un esempio su tutti il Birrificio del Ducato, di Parma, che ha aperto a Londra un pub – The Italian Job – dove offre i migliori marchi italiani.
I microbirrifici veri e propri (540 censiti di cui però pienamente attivi 494) sono stabilimenti di produzione diretta, le beerfirm (260) sono strutture che non hanno stabilimenti propri, ma che comunque producono birra artigianale presso impianti terzi e poi ci sono i brewpub (circa 200) che sono birrifici con annessi locali di vendita.
Qualche giorno fa è stata presentata l’edizione 2017 de “La guida delle birre artigianali italiane” edita da Slow Food.
La prima edizione della guida, anno 2008, presentava 127 aziende e 354 birre; la quinta segnala 512 aziende e recensisce 2.708 birre. Per individuare le birre di cui parlare i 70 collaboratori della guida hanno girato l’Italia in lungo e in largo e visitato più di 800 birrifici.
Un trend produttivo che risponde ad un consumo nazionale di birre artigianali che è oggi pari al 3% del consumo di birra totale (dato triplicato rispetto al 2012), che nel 2014 è stato di 17,5 milioni di ettolitri, per un consumo pro-capite di 30 litri annui a persona (contro una media europea di 80).
Come il vino, anche la birra ha uno stretto legame col territorio ecco perché sempre più birrifici italiani, come strategia di marketing, sottolineano questo rapporto con le terre d’origine: non solo abbinamento enogastronomici ma anche l’utilizzo di prodotti tipici per la produzione, che trasformano la birra in un mezzo per diffondere tradizioni, eccellenze locali e veri e propri usi e costumi.
L’internazionalizzazione del prodotto artigianale Made in Italy ha il suo volano nel contatto diretto con l’utente finale, una filiera a km zero che preferisce, soprattutto nel primo periodo di start up, presentare e presentarsi al potenziale consumatore. Approdare in GDO è per molti produttori è una grossa opportunità apre le porte a questioni di conservazione e di natura etica.